venerdì, Marzo 29, 2024
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È stato restaurato grazie all’intervento del Comune e di alcuni privati

Lo chiamano «Stafaleto» È il capitello di Pacengo

Dopo quasi tre mesi di alacri lavori di restauro è tornato all’antico splendore, seppur in misura non totale, il capitello di Pacengo comunemente chiamato «Stafaleto». «A nord del paese, all’inizio della strada Fonda, là dove essa si diparte dalla Gardesana orientale, in area di proprietà comunale, c’è un capitello – recita Giovanni Perantoni, nel suo libercolo dedicato ai capitelli dei nostri avi, edito nel 1976 per i tipi de “La Gardesana” – comunemente chiamato Stafaleto. Sorge su un terrapieno rialzato di circa un metro, rispetto al piano stradale, recintato da un muretto – continua Perantoni – ed è stato edificato – stando ai si dice – intorno alla metà del XVIII secolo e sarebbe stato realizzato per far ottenere alla comunità pacenghese una particolare protezione o grazia». L’opera presenta tre nicchie: nelle due laterali troviamo le immagini di San Rocco, il quale protegge da epidemie e malattie, e San Giovanni Battista, al quale è dedicata la chiesa parrocchiale di Pacengo. In quella centrale – sempre citando il Perantoni – rivolta a sud, c’era in origine l’effige di Gesù Crocifisso, anch’essa su legno; nel 1962, il parroco di allora, don Giuseppe Carminati, risultando ormai cancellata dal tempo l’immagine preesistente, vi collocò un crocifisso, rubato nel 1968 dai soliti ignoti, i quali credevano fosse stato un pezzo di antiquariato. La cosa è stata invece smentita – continua Perantoni – dal parroco don Carminati essendo il crocifisso una copia di basso valore artistico. Successivamente, in tale nicchia è stato collocato un quadro raffigurante il Sacro Cuore di Gesù. Oggi, ricadendo l’anno giubilare del 2000, l’amministrazione comunale, su istanza dei cittadini di Pacengo, ha voluto prendersi a cuore la valenza storica e culturale del capitello, nonché il recupero delle antiche tradizioni religiose del luogo e dei suoi abitanti, ponendo mano al portafoglio e dando incarico ad alcuni esperti del settore per il totale restauro del capitello. Il recupero è stato faticoso, ma ha portato ad apprezzabili risultati. In primo luogo sono stati riportati alla luce gli affreschi delle tre nicchie. I più «fortunati» sono stati i laterali, quelli raffiguranti San Rocco e San Giovanni Battista, mentre meno fortuna ha avuto quello centrale, molto compromesso dall’incuria del tempo. Oltre all’impegno finanziario della amministrazione c’è stato un contributo, seppur modesto, di alcuni privati del luogo che da tempo si erano impegnati nel sollecitare chi di dovere all’iniziativa di recupero e restauro. Fin dai tempi antichi nei dintorni del paese, lungo le vie polverose o melmose, venivano eretti capitelli o esposte immagini dei santi e così facendo i nostri avi si proponevano di manifestare sentimenti di pietà e devozione, al fine di scongiurare – scrive chiaramente il Perantoni nel suo libro – malanni e calamità per se stessi, per il bestiame, le campagne ed il proprio lavoro». Scrive ancora l’autore: «Oggi non c’è più tempo di badare a tutto ciò; la gente s’è messa in frenetica corsa per raggiungere il «miracolo» economico, che è il vertice delle sue aspirazioni, e queste testimonianze dei nostri avi sono entrate a far parte delle “cose” insignificanti e, Dio non voglia, risibili». Pare proprio che a Pacengo non ci sia solamente la rincorsa al «miracolo economico» ma che la gente, contrariamente a quanto denunciava nell’ormai lontano 1976 Perantoni, sia tornata sui suoi passi ed abbia riscoperto le antiche tradizioni, culturali e religiose per il recupero dei capitelli «dei nostri avi». Ben lo testimoniano le azioni di questi giorni da parte dell’amministrazione comunale e dei privati in una joint-venture per il recupero del patrimonio artistico e religioso del luogo. Sergio Bazerla

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