venerdì, Aprile 26, 2024
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In Italia anche la siderurgia è finita...

Requiem per una nazione

Che peccato! In Italia anche la siderurgia è finita. Continua così il lento, ma inesorabile scardinamento dell’economia italiana che conoscevamo nei decenni trascorsi, una delle maggiori in Europa.

Noi, che abbiamo vissuto tutta la metà del secolo passato, ci ricordiamo la meravigliosa rinascita della fenice italiana dalle ceneri e dalle macerie morali e materiali della seconda guerra mondiale. L’Italia aveva stupito il mondo con uno sviluppo travolgente della sua economia in tutti i campi, Poi, dall’inizio degli anni ’70 e dopo la botta finale dell’euro, si verificò la lenta discesa verso gli inferi caratterizzata da vari fenomeni: cessione di imprese a compagnie straniere, chiusure di settori tout court, rilocalizzazione di imprese italiane in paesi vicini o anche lontani.

Un breve riesame dei settori in cui eravamo “world leaders” ci può dare la misura del fenomeno,

I primi settori a delocalizzare sono stati quelli labour intensive, in primis calzature e confezioni.

Intere aree produttive hanno visto tutte le loro imprese (generalmente di dimensioni medie o medio piccole) andare a finire in Ungheria, Romania o in altri paesi in cui il costo della manodopera non era alto come quello italiano. Il settore del commercio all’ingrosso è passato pressoché interamente, con solo la resistenza delle cooperative comuniste e di Esselunga, nelle mani di società tedesche e francesi. L’automobile se non se n’è ancora andata, presso andrà. Il nostro settore principe, la moda e il lusso, sta sgretolandosi tra la vendita a complessi stranieri e la guerra mossa da miopi politicanti. Per restare in un campo analogo, la nautica, disposizioni assurde hanno fatto sì che i nostri 6.500 km di coste meravigliose che potrebbero essere un paradiso della nautica turistica e una benedizione economica, siano in breve diventati un deserto a tutto vantaggio della costa francese o del litorale sloveno, con la perdita stimata di 1 miliardo di euro.

Anche le infrastrutture turistiche stanno trovando acquirenti esteri, se è vero che l’aeroporto di Venezia finirà ad una società germanica.

L’esemplificazione potrebbe continuare. Ma qual è la causa, a parte la crisi internazionale alla quale i vari paesi reagiscono in modo differente? Si tratta essenzialmente di provvedimenti fiscali assurdi e caotici, con una pressione in costante aumento e del tutto imprevedibile per poter fare previsioni a medio termine unita ad una pletora di lacci e lacciuoli burocratici e politici che rendono difficile poter aprire e gestire una nuova impresa.

Ci guadagnano solo i territori appena di là dal confine: la Carinzia, la Slovenia, ecc. La Carinzia ha addirittura creato un ente per l’accoglienza delle imprese italiane e ha già incamerato ben 27.000 aziende italiane, di cui 700 venete. In un decennio ha visto arrivare ben 1.600.000 posti di lavoro.

In questo quadro, invece di trastullarsi in politiche keynesiane che hanno già dato prova della loro inadeguatezza, si dovrebbero drasticamente ridurre sia il famigerato “cuneo fiscale”, sia le altre imposte gravanti sulle imprese e sui redditi dei lavoratori, Ma, tant’è, si persevera e l’economia italiana continua a sgretolarsi. Non vorremmo diventare una colonia economica. Non vorremmo che avesse ragione Metternich.

(Articolo di Calibano, rubrica Economia di Gn)

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