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Da ieri al lavoro la cabina di regia per il «Nodo idraulico Adige - Garda - Mincio» che punta a programmare il territorio contro la siccità

C’è il sistema per salvare il Garda

La cabina di regia per regolare i livelli del Garda è operativa. Si chiama «Gruppo istituzionale nodo idraulico Adige – Garda – Mincio» e di fatto strappa la gestione delle acque a una sorta di emergenza gestista dal commissario governativo Bernardo De Bernardinis per incanalarla in un percorso di programmazione pluriennale che ha per obiettivo quello di preparare il territorio a un lento scivolamento verso un clima con maggiori picchi di siccità. La prima riunione si è svolta ieri nella sede del Genio civile a Verona, presenti oltre a De Bernardinis i componenti del gruppo: Regione Veneto (Giancarlo Conta), Regione Lombardia, Province di Brescia, Mantova e Verona (Luca Coletto), assente la Provincia autonoma di Trento, invitato come rappresentante dei comuni gardesani scaligeri il sindaco di Peschiera Umberto Chincarini.«Lo abbiamo tolto dalle figure istituzionali», commenta De Bernardinis, «perché creava una certa ambiguità, ma abbiamo dato mandato alle Province di lavorare a stretto contatto con i Comuni. Inoltre Peschiera è l’area del Garda che più risente dei problemi ambientali collegati ai livelli, con immediate ripercussioni sui trasporti». Polemico De Bernardinis contro la Comunità del Garda: «Il nostro obiettivo è quello di chiarire anche discorsi nebulolsi mettendo insieme territorio e tecnici, sono stati fatti ricorsi senza consistenza». Sottinteso il riferimento alla Mori – Torbole. Sono due i motivi che rendono impraticabile la scelta di scaricare l’Adige nel lago. Il primo, di legge, ricordato dall’assessore Luca Coletto: «Si può aprire, secondo la legge istitutiva dell’Aipo (agenzia interregionale del Po) del 1955, solo per evitare inondazioni di Verona. L’ultima volta vi si è ricorsi nel 1997, con enormi danni ai porti, senza parlare dei problemi ambientali». Il secondo, tecnico. Spiega Nicola Dell’Acqua, dirigente dell’Autorità di bacino dell’Adige: «Non è utile per risolvere i problemi estivi dell’irrigazione nel Mantovano e del contestuale abbassamento dei livelli del lago. Basti pensare che in 30 anni la galleria ha scolmato in lago 24 milioni di metri cubi di acqua, mentre se vogliamo alzare il livello del lago di 50 centimetri per un anno servono 200 milioni di metri cubi». E i livelli sono importanti non solo per l’estetica. Interviene Chincarini, al quale si deve il merito – da senatore – di aver messo nell’agenda governativa la necessità di rivedere il sistema di gestione delle acque: «Arrivano qui sabbia e fango, come a Lazise e Sirmione. In Lombardia si può dragare, qui no. Sollecitiamo l’Arpav perché ci consenta di spostare di qualche centinaio di metri la sabbia senza sollevarla dall’acqua, così da facilitare l’uscita dai porti. Anche se quest’anno problemi non ne abbiamo. Il lago è a 120 sullo zero idrometrico e la piena del Po farà chiudere Salionze».Ed ecco a cosa lavora la cabina di regia: creare un’autorità d’ambito specifica (De Bernardinis manderà una bozza al governo entro due settimane), impostare una politica di risparmio dell’acqua superando l’irrigazione a scorrimento della pianura padana, troppo dispendiosa, reperire finanziamenti. Creare i «ghiacciai di pianura», così li chiama l’assessore Conta, cioè invasi artificiali in cave esistenti per accumulare acqua dolce. «Abbiamo due progetti esecutivi, uno per l’Adige più a sud per 60 milioni di metri cubi e uno per il Piave, per 50 milioni di metri cubi. Il Cipe ci ha già concesso 185 milioni per il Po». Un precedente importante cui si punta per il by – pass del Garda. Nicola Dell’Acqua ieri ha illustrato alla cabina di regia lo studio di fattibilità. Eccolo: «Colleghiamo i canali irrigui di bonifica veneta con quelli mantovani. Il sistema c’è già, servono pochi interventi», spiega il dirigente. «Dalla chiusa di Ceraino l’Adige viene derivato nel canale consortile Agro veronese e di qui nel canale Sommacampagna. Si arriva nell’area di Valeggio, dove ci sono cave abbandonate sfruttabili, le si collega con i canali mantovani. C’è anche un canale di raccolta che dal valeggiano torna verso l’Adige, quindi il bacino servirebbe eventualmente lo stesso Adige». Nessuna necessità di spendere energia, «il sistema funziona per gravità». Costo dell’intervento di minima, da 3 – 4 milioni di metri cubi, 10 milioni inclusi gli espropri. Tempi di esecuzione: un anno di lavori. Ma prima vanno eseguiti lo studio di impatto ambientale e le procedure di assegnazione dei lavori. «Si può modulare l’intervento nel tempo», sottolinea Dell’Acqua, «partendo con poco e arrivando a 50 – 60 milioni di metri cubi. Da subito però i canali irrigui del mantovano riceverebbero acqua senza dover prelevare molto da Salionze». E il lago è salvo.

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