venerdì, Aprile 26, 2024
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Due millenni di storia tra il verde esotico e l’edificio neogotico che ricorda Venezia

Il palazzo sull’isola del Garda

Perla delle isole lacustri, contende alla punta di Sirmione l’indice di fulgida bellezza. I blu intensi dei fondali inducono il brivido, come l’ondoso trascolorare delle lenti smeraldine in cui il fondo vira con accordi cromatici preziosi, con trasparenze e moti d’acqua che hanno il puro scintillio del cristallo. E sopra, sulla proda, una vegetazione onirica che tanto sarebbe piaciuta al Doganiere Rousseau, tipica dei parchi mediterranei del secondo romanticismo, un po’ inglese, di un’Inghilterra che sogna, dai suoi giardini freddi, gli alberi profumati del sud; un dolce intrico dal quale emerge, nelle tonalità morbide della sabbia, il gran palazzo neogotico, ricco di citazioni al modo di murare nella Repubblica Serenissima.Nel 1860 lo Stato italiano pensava di realizzare una fortezza che potesse proteggere il basso lago da eventuali incursioni austriache mosse da Riva del Garda, ma presto abbandonò l’idea e decise di mettere all’asta la bellissima proprietà. La gara venne vinta dal barone Scotti che nel 1870 rivendette l’isola e la vecchia villa Lechi al duca Gaetano de Ferrari di Genova e a sua moglie, l’arciduchessa russa Maria Annenkoff.Per la coppia di aristocratici fu una sfida di entusiasmante coinvolgimento. Tra il 1880 e il 1900 i nuovi proprietari si dedicarono al progetto di realizzazione del parco – un luogo che doveva apparire simile al giardino dell’Eden – e al disegno dei muri di contenimento verso il lago. Barconi scaricarono terra fertile nella quale vennero piantate quelle essenze esotiche che tanto piacevano ai nostri trisavoli.Il palazzo fu reso più sontuoso con la realizzazione di giardini all’italiana che interloquivano con la macchia esotica del parco. A questo punto la coppia ducale pensò che l’edificio, nato dalla trasformazione e dall’ampliamento delle linee basilari di un antico convento, non fosse più in linea con le nuove esigenze estetiche. La villa in stile neogotico-veneziano venne costruita tra il 1890 e il 1903, secondo il progetto elaborato dall’architetto Luigi Rovelli. L’edificio, estremamente complesso sotto il profilo della modulazione degli spazi, mostra una teatrale imponenza. Le facciate sono rese leggiadre da aperture a sesto acuto, secondo una rilettura delle chiavi moresche di Venezia. Il gusto neogotico è confermato dalla presenza di una torre con merlature con decorazioni floreali, sempre sulla linea, ormai tardiva, di un ripensato castello. Isola e villa giunsero in eredità alla figlia della Duchessa, Anna Maria – che amava particolarmente questo luogo, eleggendolo a propria residenza principale – che divenne sposa del principe Scipione Borghese. Un altro passaggio familiare avvenne nel 1927, anno di scomparsa del principe, quando la proprietà passò alla figlia, sposata con il conte Cavazza di Bologna. Alla morte del conte padre il complesso divenne di proprietà di Camillo, che poi lo lasciò in eredità alla moglie Charlotte e ai figli, che abitano nel palazzo. Nel corso delle ristrutturazioni ottocentesche disposte dal conte Lechi, furono trovate numerose lapidi gallico-romane, a riprova del fatto che già in antico qui sorgeva una residenza. Riserva di caccia fino al 879, venne donata da Carlomanno ai frati veronesi di San Zeno. Si dice che sull’isola sia approdato anche San Francesco, di ritorno dal viaggio in Oriente.L’assissiate avrebbe espresso il desiderio di aprire un convento per i suoi frati. Ne ottenne concessione da parte di un nobile di Manerba.Nel 1429 con l’arrivo di San Bernardino da Siena – il santo francescano considerato, nell’ambito dell’ordine secondo solo a San Francesco – il vecchio monastero venne rinnovato ed ampliato. L’Isola divenne quindi un importante centro ecclesiastico di meditazione.Dal 1685 al 1697 fu convento di noviziato. Con l’avvento di Napoleone, il cenobio venne soppresso e l’isola ebbe diversi passaggi fino a giungere al conte Luigi Lechi, che qui svolse ampi lavori, e, successivamente, al fratello Teodoro che continuò l’opera di abbellimento dell’edificio.

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