Forse oggi è fin troppo facile far dell’ironia specialmente in campo cinematografico. Eppure Valeggio – pioniere dell’elettricità colla Centrale della «Luce» che sfruttava il salto della Seriola e che poi diede il nome alla gloriosa «Società Elettrica Valeggiana» (S.E.V.), potè far funzionare il cinema quasi nella stessa epoca. E ciò viene ricavato da precise testimonianze orali raccolte a suo tempo. Così, ai primi del Novecento, fra lo stupore e la meraviglia dei valeggiani veniva impiantato in Corte Bianchini di via San Rocco, il cinematografo muto del signor Boiac, un nome da toccaferro. Un lenzuolo appeso al muretto di cinta e pochissime panche e sedie sgangherate erano l’unica dotazione logistica del «mulino delle immagini». La macchina da proiezione (a sedici fotogrammi al secondo) si trovava ben protetta in una cabina di legno. Ma l’entusiasmo di tutti era alle stelle. Era un’epoca sentimentalmente lacrimosa. Con pochi «schei» (centesimi) la passata generazione andava a lacrimare per le tristi vicende di Cosetta nei «Miserabili», o a fremere di odio e di sdegno per «Nerone» carnefice dei cristiani. Qualche fazzoletto si bagnava anche per «Il romanzo di un giovane povero», «Il padrone delle ferriere», e per «La portatrice di pane», «La muta di Portici» e «Il fornaretto di Venezia». Ricordiamo di passaggio «La prigioniera di For Estelle» in ben dodici puntate, che si può paragonare a una telefonata avanti lettera. Ma si andava a Boiac anche per ridere con le esilaranti comiche finali di Cretinetti e Ridolini. La produzione era quella di Charles Pathè che fabbricava pellicole e apparecchi di presa e di protezione tra cui il famoso Pathé-Baby in 9,3 cm. Questo cinema estivo diventava poi autunnale e riusciva a fare – incredibile a dirsi – ottimi incassi anche in novembre. Era così forte la passione per l’arte nuovissima che molti valeggiani sfidavano anche il freddo. Qualcuno però, nell’attigua osteria, in una sera più fredda delle altre ammonì saggiamente il proprietario Boiac: «Ma set mat a far el cine co sto fredd?». Al che egli rispose: «Mat i è lori (gli spettatori), mi son dentro al cald! (nella cabina di proiezione)». La Grande guerra decretò la sua fine. Il cinema muto e poi parlato venne poi impiantato al «Dopolavoro» di via Castello e, prima della guerra d’Africa, nella chiesa sconsacrata della «Rocchetta» di via San Rocco. Infine negli anni Cinquanta – quasi per ricorso storico – venne edificato da Gino Gottardi il cinema «Smeraldo», proprio attiguo a Corte Bianchini di buona memoria. Oggi l’unico ricordo vivo del cinema pluristagionale di Boiac rimbalzato anche a Verona è : «En do vett stasera?». «Al cine Bianchini, soto le querte e i ninsolini» (a letto, quindi).
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Il popolare modo di dire veronese che significa «andare a letto», è nato nella corte di via San Rocco dove all’epoca del muto un tale signor Boiac aveva allestito un frequentatissimo cinema all’aperto con un lenzuolo appeso al muro e qualche panca
Il cine Bianchini sotto i ninsolini ? Era qui
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